Il podcasting si trova al centro di una trasformazione profonda, una sorta di metamorfosi che lo sta spingendo verso territori inaspettati, governati da dinamiche di mercato più grandi delle semplici preferenze del pubblico.
Sta cambiando pelle, trasformandosi da mezzo indipendente e personale a un prodotto sempre più integrato in ecosistemi tecnologici, economici e culturali più ampi.
E tutto sembra spingersi verso un'unica direzione: il video.
La domanda non è più solo come fruire i podcast, ma chi sta guidando questa trasformazione e perché.
Ma questa evoluzione, pur essendo inevitabile, è davvero un bene per il podcasting?
Vediamolo insieme.
Partiamo dall’inizio: il podcast era (e forse è ancora) un mezzo libero
Nei primi anni 2000, il podcasting rappresentava un territorio indipendente, uno spazio in cui chiunque poteva raccontare storie, senza intermediari. In questo breve audio-documentario sulla storia del podcasting è spiegato come speaker radiofonici e nerd siano stati i primi ad aver trovato nel feed Rss una tecnologia per facilitare la distribuzione su vasta scala dei contenuti parlati, libero dalle palinsesti radiofonici e dai grandi media.
Il podcast infatti, visto che si basa sul linguaggio xml e non su software chiusi o proprietari, è un media aperto per definizione, libero, indipendente, perché di fatto chiunque può inventare, inserire o modificare i propri tag in questo file di testo chiamato feed RSS. Nessun altro media contempla questa caratteristica.
Poi è arrivato YouTube. E negli anni ‘10 del duemila si assiste al primo “trasferimento” di podcaster su YouTube, come ad esempio il seguitissimo Joe Rogan Experience che approda su YT nel 2013. Quindi non proprio l’altro ieri.
I primi podcaster che hanno portato i loro contenuti su YouTube hanno aperto la strada al concetto di videopodcast. Non era la norma, ma una scelta.
Oggi, invece, sembra che il mercato stia spingendo verso un'unica direzione: il video. E, dunque, Il podcasting si trova a un bivio: sta cambiando pelle, trasformandosi da mezzo indipendente e personale a un prodotto sempre più integrato in ecosistemi tecnologici, economici e culturali più ampi.
Chi sta cambiando il mondo del podcast?
Quote di mercato: chi detta le regole
Secondo il Podcast Download Report Fall 2024, YouTube è ufficialmente la piattaforma più utilizzata per i podcast, superando Spotify e Apple.
Molto è cambiato negli ultimi sei anni:
2019: Apple dominava con il 29%, seguita da Spotify (16%) e YouTube (15%).
2021: Era una corsa a tre tra Apple, Spotify e YouTube, con percentuali simili.
2024: YouTube è salita al 34%, Spotify è scesa al 17% e Apple ha raggiunto un minimo storico dell’11%.
Come è perché YT ha conquistato una fetta di mercato podcast così importante?
Non per amore dell’audio, ma per strategia e per opportunità.
YouTube ha creato un ecosistema integrato che consente agli utenti di fruire di contenuti nelle forme più svariate (video long form, short, musica, podcast, live), così non hanno bisogno di transitare su più piattaforme per trovare ciò che cercano. Restano su YT, con relativi impatti positivi sugli introiti pubblicitari della piattaforma.
Poi, YT ha risolto due dei più annosi problemi del podcasting: la discoverability e l’interazione. È ad oggi la piattaforma più utilizzata per scoprire nuovi podcast, oltre al fatto che permette di commentare i contenuti dei creator e quindi ridurre quella distanza che può esserci tra podcaster e ascoltatore in altre piattaforme.
Spotify, d’altro canto, sta cercando di competere e tenere testa a questa conquista, integrando video e funzionalità interattive come sondaggi e commenti.
Apple per ora sembra disinteressarsi di questi nuovi sviluppi, ma staremo a vedere se ci stupirà con effetti speciali.
Tutto chiaro fin qui. Ma…
Perché il video?
La corsa non è dettata dal miglioramento dell’esperienza utente, ma dal tentativo di dominare un mercato in cui i giovani (Gen Z e Alpha) preferiscono contenuti visivi e multimediali.
Generazioni cresciute con YouTube e i social media, abituate a “guardare” anche quando potrebbero semplicemente ascoltare. Il fascino del video risiede nella possibilità di vedere chi parla, come si muove, come interagisce con gli ospiti.
Infatti, il video è il terreno fertile per la creator economy dove personaggi pubblici, talent e influencer trovano l’ambiente ideale per mostrarsi a un pubblico che ama vederli in azione, ed è più attratto dall’impatto visivo che dal contenuto.
Inoltre, sappiamo benissimo che le logiche di mercato si basano su interessi economici. Se un personaggio popolare attira un consistente pubblico, va da sé che la scelta del formato di un progetto tiene conto anche di queste dinamiche, e il video vince.
Quali sono i rischi di questa trasformazione?
Ma questo cambiamento ha un prezzo. Il podcasting, nato come uno spazio libero e creativo, rischia di diventare una copia sbiadita di altri media.
Uniformità dei contenuti: La spinta verso il video costringe molti creator a trasformare i propri podcast in talk show visivi, il formato che funziona meglio su YouTube. Il risultato? Meno varietà, più conformità. Addirittura si parla di youtubification del podcast.
Polarizzazione: Superstar vs Indipendenti. I grandi nomi monopolizzano risorse e visibilità, mentre gli indipendenti, che hanno fatto la storia del podcast, devono lottare per emergere in un panorama sempre più competitivo. L’ascoltatore si polarizza anch’esso, tra chi cerca contenuti ultra-curati e chi preferisce esperienze autentiche e di nicchia.
Snaturamento del mezzo: L’audio, il cuore pulsante del podcast, rischia di diventare un accessorio del video.
Come vedo questa evoluzione
Come per ogni cosa, l’evoluzione è una condizione fisiologica. Il podcasting non fa eccezione, ed è un bene che si adatti ai cambiamenti sociali, alle abitudini di consumo, alla tecnologia sempre più innovativa.
Tanto è vero che nell’ultimo Festival del Podcasting si è parlato molto di “ibridazione” del podcast, di podcast 2.0 multimediale e interattivo, in cui il contenuto non è più legato a un unico formato. Audio, video, testi e social convivono in un unico ecosistema per massimizzare la portata.
Ciò che sento stonare in tutta questa evoluzione è che è governata da elementi non fisiologici, è drogata da opportunità economiche e logiche mainstream che escludono le nicchie, promuovono standardizzazione, conformità sociale e finalità commerciali.
Io non credo che il video sarà la morte del podcasting. Credo, piuttosto, che lo saranno i meccanismi che ci sono dietro messi in piedi da chi, di fatto, detiene il potere decisionale ed economico.
Le domande che mi (e ti) pongo sono: è una metamorfosi inevitabile? oppure c’è ancora spazio per preservare l’autenticità e la diversità del podcast in un panorama sempre più dominato da video, algoritmi e interessi economici?
A te la riflessione e, se ne hai piacere, un confronto.